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suicidio



 come tutti i termini che evocano sofferenza è una parola che rifiutiamo e non ci soffermiamo ad ascoltare perché  la nostra mente tende ad etichettarla con un giudizio od una giustificazione del tipo: “era malato, era disperata, l’azienda era fallita, famiglia disastrata”…
Ogni giustificazione che troviamo per rassicurare noi stessi che la cosa non ci riguarda, non è altro che un’inutile ricerca di una causa, del perché è accaduto. E’ inutile cercare un capro espiatorio per spiegare il dolore perché così facendo ci neghiamo la possibilità di stare sulla sofferenza per accettarla e poterla superare.  Viktor Frankl sosteneva che la spinta vitale di ogni persona è data dalla necessità di comprendere il senso, i valori e gli scopi che connotano la sua unica ed irripetibile esistenza. Allora interroghiamoci piuttosto sul senso che può avere la sofferenza, sull’esperienza del limite che la vita continuamente ci impone, così da trasformare il dolore nostro e degli altri in un occasione per incrementare la nostra conoscenza e saper guardare in modo più vero dentro le cose.
“Chi ha motivi per vivere…vive, chi è demotivato diventa anche biologicamente meno vitale e l’amore costruttivo di sé cambia nel suo opposto” (V.Frankl)

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